Dopo anni di overtourism selvaggio,con la crisi è arrivata anche l’indignazione degli albergatori. Le accuse di un clima sociale “anti-turismo” che avrebbe generato un calo strutturale della domanda, appaiono non solo parziali ma anche distorte, soprattutto se si considera il ruolo che la stessa categoria ha avuto nel plasmare l’attuale scenario. Un “mea culpa” non sarebbe solo auspicabile, ma necessario.
Sorrento – Stanno facendo discutere le recenti dichiarazioni di un noto imprenditore e tour operator sorrentino, che con toni amari e ironici ha commentato il calo delle presenze turistiche registrato in questo scorcio d’estate 2025. “Adesso siete contenti? Gli alberghi sono mezzi vuoti”, ha scritto pubblicamente su Facebook, rivolgendosi implicitamente a quella parte della cittadinanza che negli ultimi anni ha espresso forte insofferenza verso l’overtourism che ha travolto Sorrento. Una analisi che, senza troppi filtri accusa il clima sociale “anti-turismo” di aver generato un calo strutturale della domanda, appare non solo parziale ma anche distorta, soprattutto se si considera il ruolo che la sua stessa categoria ha avuto nel plasmare l’attuale scenario.
Il noto albergatore che sembrerebbe interpretare l’opinione dell’intera categoria,sostiene che l’ostilità diffusa verso il turismo, giudicata “una narrazione tossica”, avrebbe danneggiato l’immagine della città e quindi compromesso la stagione turistica. Secondo tale tesi, non è il numero di turisti il problema, bensì la cattiva gestione dei flussi. “Abbiamo preferito il sospetto alla visione strategica. Abbiamo parlato male del turismo e ora ne paghiamo il prezzo”, si accusa. Eppure, viene da chiedersi: davvero è solo colpa della popolazione o di chi ha osato denunciare le distorsioni di un sistema diventato insostenibile? – Probabilmente sarebbe più onesto ammettere che la crisi in atto è anche e soprattutto il frutto di anni di miopia e di assenza di un piano strutturale da parte degli operatori del settore. – A tale proposito,pewr fare un esempio, basterebbe ricordare che furono proprio gli albergatori, di fronte alla penuria di mano d’opera specializzata del settore, all’indomani della pandemia, a sbandierare la soluzione “miracolosa” dell’impiego massiccio di lavoratori immigranti , senza preoccuparsi di indagare il perché della fuga delle professionalità locali dal settore. Giovani diplomati dalle scuole alberghiere, anziché entrare negli hotel della penisola, cercavano stabilità altrove, in altre città o all’estero, spesso proprio a causa di condizioni lavorative inaccettabili. Di fronte a quella che doveva essere una criticità da analizzare e magari approfondire ,la risposta del comparto, con molta superficialità e il solito egoismo, fu quella immediata di sostituire i lavoratori locali con forza lavoro extracomunitaria. Spesso anche sotto pagata, ma in particola modo, senza una adeguata formazione e tanto meno un processo di integrazione, mandando allo sbaraglio persone impreparate in un settore dove la qualità del servizio è essenziale. Una scelta che potrebbe aver contribuito, più che dell’attuale critica sociale, al peggioramento dell’esperienza turistica e quindi , con conseguenti giudizi negativi circa la qualità del servizio, anche al calo di presenze che ora si registra.
Cittadini ostaggio di un turismo che non li rappresenta – Proprio le associazioni di categoria, come Federalberghi, che nel frattempo sembravano ignare della tempesta all’orizzonte, dopo il boom post-pandemico, si sono affrettate ad aumentare l’offerta, aprire nuove strutture,e contribuire ad espandere il comparto extralberghiero, convinti che il flusso turistico sarebbe stato eterno. Nessuna riflessione seria sull’equilibrio territoriale, sull’impatto ambientale, sulla vivibilità per i residenti. Nessuna considerazione del fatto che il successo di una destinazione turistica non si misura solo nei numeri, ma nella sostenibilità. Mentre i “grandi esperti” del turismo celebravano record su record, una parte crescente della popolazione locale, pensionati, studenti, famiglie monoreddito, vedeva la propria qualità della vita sgretolarsi: affitti alle stelle con conseguente spopolamento della città,traffico ingestibile, inquinamento ,sanità e servizi al collasso. Una Sorrento svenduta al turismo, spesso di bassa qualità, che ha snaturato l’identità del territorio. In quegli stessi anni, mentre la comunità chiedeva tutele e moderazione,nonchè una diversificazione dell’economia locale, molti imprenditori si preoccupavano solo di massimizzare i profitti, trasformando appartamenti in B&B, moltiplicando i posti letto, rincorrendo i guadagni facili. fino a raggiungere l’obiettivo attuale, ovvero: una destinazione ormai “stanca”, caricata da una moltitudine di ataviche criticità mai risolte, impoverita nella sua offerta, sempre meno attrattiva per il turismo di qualità.
Crisi non è solo nei numeri, ma nella di visione – Ora che i conti non tornano, e che le recensioni negative iniziano a pesare, le accuse rivolte ai cittadini appaiono quanto meno inopportune. Viene pertanto da chiedersi, dove erano questi imprenditori quando si trattava di tutelare il territorio, oppure quando si trattava di creare lavoro dignitoso e servizi all’altezza? Non si può parlare di turismo come “identità e lavoro” solo quando conviene, e ignorare la comunità quando essa chiede di essere parte del processo. Il turismo va senzìaltro governato, ma non con slogan e lamentele. Serve una visione condivisa, equilibrata, lungimirante. E soprattutto serve, da parte di chi ha tratto i maggiori benefici in questi anni, un po’ di onestà intellettuale. Un mea culpa non sarebbe solo auspicabile, ma necessario. Proprio in un momento così critico per una citta travolta anche da una bufera giudiziaria senza precedenti, tale potrebbe essere un primo passo verso una Sorrento che non sia più ostaggio del turismo, ma padrona del proprio destino. – 03 agosto 2025