Sorrento, il silenzio complice della stampa: cronaca di un fallimento collettivo

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Nessuno, in questi anni, ha osato raccontare l’altra faccia della città. Ora  che i nodi sono venuti al pettine tutti diventano professori di legalità, dimenticando che la stampa non serve a fare piacere al potere, ma a controllarlo. Chi isolato ha scelto  di non piegarsi, invece, ha pagato un prezzo altissimo.

Sorrento – Con la caduta fragorosa dell’ex sindaco Massimo Coppola, arrestato per corruzione insieme a dirigenti, imprenditori e al patron di un noto settimanale locale, crolla anche un castello di silenzi, inchini e convenienze. Si parlava di “Sistema Sorrento” nei corridoi, ma nessuno, tranne qualche eccezione,  aveva il coraggio di scriverlo nero su bianco. Oggi che la macchina della giustizia ha acceso i riflettori, tutti si scoprono improvvisamente indignati. Ma la verità è un’altra: il sistema ha funzionato anche  e soprattutto perché la stampa locale è rimasta muta.

Il giornalismo che doveva vigilare, ha applaudito – Durante l’amministrazione Coppola, gran parte della stampa sorrentina si è trasformata in un megafono di propaganda. Ogni iniziativa, anche la più irrilevante, veniva celebrata come fosse un miracolo amministrativo. Pochissimi hanno osato uscire dal coro. Quasi nessuno ha messo in discussione l’efficacia delle scelte pubbliche, né ha indagato sugli intrecci malsani tra politica, affari e comunicazione.

Oggi si parla di interviste pagate con soldi pubblici, di pubblicità istituzionale usata come moneta di scambio, di giornalisti “assunti” nello staff del sindaco per evitare articoli scomodi. Ma tutto questo, ieri, era sotto gli occhi di tutti. Dove erano allora i paladini della legalità che oggi tuonano contro il “sistema”? La verità è che ci si stava troppo bene, in quel sistema. C’era spazio per tutti: un posticino in un ufficio stampa, un contributo pubblicitario, una mano tesa per favori più o meno leciti.

Chi isolato ha scelto  di non piegarsi, invece, ha pagato un prezzo altissimo. Diffamato, calunniato, delegittimato pubblicamente. Non bastavano le parole. Contro i pochi che osavano criticare, è stato attivato un vero e proprio apparato repressivo: sopralluoghi continui nelle abitazioni e nelle proprietà, ispezioni sistematiche, verbali consegnati ai “cani da tastiera” dei social per alimentare il sospetto e l’odio. Un metodo scientifico per colpire chi non si allineava, per silenziare chi non applaudiva.

 Nel frattempo,anche in tale contesto, la stampa locale, quella che oggi si affanna a prendere le distanze, continuava con il guardare altrove. Nessuno mai si è posto il problema, di dare voce ai perseguitati. Allo stesso tempo nessuno che si sia preso la briga di raccontare l’altra faccia della città. Nessuno, proprio nessuno, che si sia ricordato che la stampa non serve a fare piacere al potere, ma a controllarlo. – La libertà di stampa è un pilastro della democrazia, ma quando viene svenduta per un contributo o un incarico, perde ogni valore. Una stampa addomesticata non è solo inutile: è dannosa. Altera il dibattito, soffoca le voci fuori dal coro, diventa complice del potere. È questo che è successo a Sorrento. E ora, chi ha tradito quel principio, farebbe bene a farsi da parte. Invece ora  che i nodi sono venuti al pettine, che le manette sono scattate, che le carte parlano di corruzione, di tangenti, di fondi pubblici sperperati  a danno di servizi essenziali per i cittadini, tutti diventano professori di legalità. Tutti esperti di trasparenza. Tutti giudici di un sistema che appena fino a qualche settimana fa li  ha nutriti.

Ora, se esistesse ancora un briciolo di dignità sarebbe l’ora di non entrare nel merito, di parlare e scrivere di altre questioni.  Perchè  ora la realtà è quella  che nessuno può dirsi innocente, se ha avuto benefici, se ha taciuto, se ha fatto finta di non vedere. Ora non è il momento di mettersi in cattedra. Ora, se davvero c’è un residuo di dignità, è il momento del silenzio. Non per coprire, ma per non offendere ulteriormente chi ha subito. Per rispetto verso chi ha resistito senza vendersi. Per vergogna, se ce n’è ancora.  Perché la verità, quella vera da raccontare, non la si scopre quando arrivano le inchieste. La verità la si costruisce giorno per giorno, con coraggio, onestà e indipendenza. E questa città, oggi, paga il prezzo di non averne avuta abbastanza. – 15 luglio 2025 – salvatorecaccaviello

 

 

 

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